"Opera senza autore": Tre Germanie, il peso del passato, la forza di andare oltre ...
Non è frequente vedere al cinema un film di tre ore. Ma va detto che il tempo passa piacevolmente guardando “Opera senza autore”. Merito di Henckel von Donnersmarck, già vincitore dell’Oscar con “Le vite degli altri”, che sapientemente mescola tre Germanie, quella nazista, quella socialista della DDR, e quella occidentale, colta nella sua fase espansiva anni ’60.
Certo, i temi si affollano, i piani si intersecano, ma tutto si tiene, tenuto assieme da una grande storia d’amore, nonché dal muoversi della memoria nel tempo, tra l’infanzia del protagonista, segnata dall’incontro con la giovane zia, poi ricoverata in un ospedale psichiatrico e finita vittima del programma di eutanasia nazista, e la maturità dell’artista, decenni dopo, quando, ritrovato se stesso, ha realizzato pienamente la propria arte.
Una metafora della Germania? Direi di sì. Il grande paese nel cuore dell’Europa è colto dapprima in un angolo non molto visitato del suo passato, quello dell’eugenetica, del programma T4, chiarendo bene come il regime hitleriano, nato per esaltare il Noi contro di Loro, ha finito ben presto per colpire e sopprimere anche quei Noi che sosteneva di voler garantire. Ma poi la scena cambia e la macchina da presa segue l’esistenza del ragazzo ora divenuto giovane, e aspirante pittore, Kurt Barnert, e, attraverso di lui, i traumi storici di un intero paese, l’occupazione sovietica, il rigido controllo su tutto, il Muro di Berlino. Per sottolineare indirettamente l’invidiabile capacità che ha avuto la Germania nel rialzarsi dalle rovine, ma anche per far intuire quel tanto di oscuro e di non chiarito che permane, con la sua ombra, anche nel film (che non ha un finale hollywoodiano, ma sospeso).
Il fil rouge della pellicola è l’arte. Le prime inquadrature ci portano nella mostra d’arte “degenerata” installata dai nazisti nel 1937. Per poi mostrarci - dopo la guerra - il trionfo del realismo socialista nella Germania Est ed infine la ricerca di una realtà più vera e meno propagandistica nelle opere che Barnert realizza a Duesseldorf, e che mischiano fotografia e pittura. Cos’è vero? Qual è la realtà? E la realtà è davvero sempre bella perché esiste, come dichiara il protagonista?
Non proprio. E infatti, se tutti i personaggi sono buoni, o hanno un lato positivo, uno è l’incarnazione del lato oscuro tedesco. Parliamo del deuteragonista, del prof. Seeband, medico nazista che voleva purificare la razza, che si fa comunista in una DDR post-nazista, e si riscopre capitalista dopo la fuga nella Germania Ovest. Il ritratto in pieno stile socialista che di lui dipinge il futuro genero, Barnert, si rivela tanto più vero in quanto dietro di lui si staglia lo scheletro dello studio medico, quasi un alter ego dell’ambiguo ginecologo di successo e di ogni storia che non fa i conti col passato.
Francesco De Palma
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