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Il Papa e il dialogo con l'islam


Il recente e breve storico incontro di Papa Francesco in terra d’Arabia è stato suggellato dalla firma del leader sunnita di Al Azhar, il grande imam Al-Tayyib, congiunta a quella del Papa nel documento sulla fratellanza umana. Una documento giustamente non passato inosservato. Il testo afferma che l’uguaglianza dei credenti delle varie religioni porta alla piena cittadinanza di tutti, mentre critica il concetto di minoranza segnato dal senso d’inferiorità e dalla discriminazione. I due leaders religiosi “dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio”. Stabiliscono il valore della libertà religiosa: “Essa – ha detto il papa - non si limitata alla sola libertà di culto, ma vede nell’altro veramente un fratello, un figlio della mia stessa umanità che Dio lascia libero e che pertanto nessuna istituzione umana può forzare in nome suo”. Il documento insiste sui diritti della donna (e cita tutte le pressioni storiche su di lei, forti nel mondo musulmano), sulla tutela dei diritti dei bambini, la protezione degli anziani, dei deboli e dei disabili. Anche i poveri entrano in questa visione. Ricordano: “ci sono zone che si preparano a diventare teatro di nuovi conflitti dove… si accumulano armi e munizioni, in una situazione mondiale dominata dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllata dagli interessi economici miopi”. E’ la realizzazione dello spirito di Assisi – inaugurato dalla genialità di Giovanni Paolo II nel 1986 – che inserisce tutte le religioni in un sogno di pace. Il testo degli Emirati dichiara: “Ogni tentativo di attaccare i luoghi di culto o di minacciarli attraverso attentati o esplosioni o demolizioni è una deviazione dell’insegnamento delle religioni, nonché una chiara violazione del diritto internazionale.” Lo spirito di Assisi ha dissociato le religioni dalla guerra. Il testo condanna il “terrorismo esecrabile”, ma soprattutto la guerra: “Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il suo nome venga usato per terrorizzare la gente”. Sembra di sentire i messaggi delle Giornate Mondiali di Preghiera per la Pace, organizzate dalla Comunità di Sant’Egidio: “le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione degli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni”.


La visita di Papa Francesco si è svolta in concomitanza del Convegno Internazionale "Human Fraternity", organizzato ad Abu Dhabi dal Council of Muslim Elders, e a cui ha partecipato una delegazione della Comunità Sant'Egidio. Durante la sessione inaugurale, Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, è intervenuto affermando che “non ci possiamo appiattire sul realismo rapido delle notizie, talvolta cattive o false, facendoci prendere dal pessimismo, dall’emotività o dal senso d’irrilevanza di fronte a una confusione o a un male soverchianti. Il pessimismo è un consigliere di morte. L’uomo e la donna di preghiera sanno che il mondo non è consegnato al male, ma sarà liberato perché Dio non l’ha abbandonato. Costruire ponti di pace, anche di fronte a correnti contrarie, non rassegnarci ai muri e agli abissi, significa credere che molto, che tutto può cambiare”.
Andrea Riccardi, sulle pagine del Corriere della Sera, ha posto in rilievo le importanti ragioni della visita. Il Papa ha effettuato una visita mirata con il chiaro intento di ricercare “interlocutori musulmani rappresentativi” e rafforzare “soprattutto il rapporto con il grande imam di Al Azhar, l’egiziano Al Tayyib, organizzatore del meeting interreligioso di Abu Dhabi”. E poi la visita del Papa negli Emirati “sostiene i 900 mila cattolici, tutti emigrati, e dà loro una forte visibilità, negata nella vita quotidiana”. Qualcosa sta avvenendo tra i musulmani, avverte Riccardi. Nel mondo sunnita, traumatizzato dall’estremismo, è in corso – sottolinea il fondatore della Comunità di Sant’Egidio – “un processo di ricompattamento, che ruota attorno alla figura di Tayyib. Nominato alla testa di Al-Azhar nel 2010 dal presidente Mubarak, che si era avvalso del controllo politico sulla carica stabilito da Nasser, il grande imam ha lavorato per liberare la nomina del suo successore dall’influenza dello Stato e rafforzare l’autorità internazionale dell’istituzione. Negli ultimi anni, Al Azhar ha ritrovato la preminenza nel mondo sunnita che, dopo l’abolizione del califfato nel 1924 da parte di Atatürk, non ha più un centro o una figura di riferimento, mentre pullulano gli autoproclamatisi leader religiosi, come il «califfo» Al Baghdadi e altri. Tayyib gode d’autorità tra i musulmani, come capo della più prestigiosa università islamica, mentre conduce una cauta linea riformista. Sul versante esterno, guida il dialogo con l’Occidente e il cristianesimo. Nel 2017, ha accolto papa Francesco al Cairo e ha stretto con lui un dialogo personale e spirituale”.


Il papa, attento osservatore della vita dei popoli, ha detto: “c’è un solo grande pericolo in questo momento: la distruzione, la guerra, l’odio fra noi”. Pensiamo spesso a tanti problemi, ma il papa ne indica uno solo: la distruzione della guerra che viene dall’odio. Anche per questo Francesco è andato nel Golfo, nel cuore del mondo islamico, dove mai un papa era stato. Francesco è l’uomo dell’unità, non solo dei cristiani (oggi purtroppo così divisi, come gli ortodossi tra Costantinopoli e Mosca), ma con le religioni. Incarna il sogno della Chiesa del Concilio. Il Vaticano II, in tempo di guerra fredda e in un mondo diviso in due, sognò l’unità dell’umanità: “tutto il genere umano ricondotto all'unità della famiglia di Dio”. E’ il sogno della Chiesa madre. Francesco lo incarna e lo concretizza. Tanti e importanti motivi per continuare a sostenere Papa Francesco e il suo disegno evangelico: non si vive per sé, ma per aiutare e salvare i popoli, non ci si specchia da soli o l’un l’altro, ma si va verso gli altri. In altri termini, non ci si salva da soli. Come insegna la vicenda evangelica del buon samaritano che ha bisogno dell’albergatore dove ricoverare l’uomo mezzo morto. Servire i poveri si fa con gli altri. In un mondo confuso e preda di ogni potere, non ci si salva da soli e non si salvano gli altri da soli.

Antonio Salvati

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