Mezzo secolo (e più) di vicinanza ai poveri nelle mille periferie del mondo
L’anno scorso, di questi tempi, su questo blog, commentavamo il raggiungimento del mezzo secolo di storia da parte della Comunità di Sant’Egidio. Cosa non da poco in un tempo liquido quale quello attuale, in un mondo che consuma velocemente riferimenti, appartenenze, percorsi.
L’anno del giubileo si chiude in questi giorni, domani con l’anniversario ufficiale, sabato con il rendimento di grazie nella basilica di San Giovanni in Laterano, a Roma. Si chiude un compleanno importante, per un’associazione ecclesiale di cui tanto si parla, in particolare in Italia.
L’invito che vorremmo fare oggi, però, è a non concentrarsi su ciò che è o che fa Sant’Egidio nel Bel Paese. Una cosa che colpisce - e tanto più in una stagione di ripiegamento tra i propri confini, in questa mentalità da “strapaese”, da “noantri”, che sembra aver impregnato di sé i popoli e le culture - è la proiezione internazionale della Comunità.
L’invito, allora, è a scorrere il sito web dell’associazione e le sue news, https://www.santegidio.org/pageID/30284/langID/it/from/40/NEWS.html, a scoprire le tante piccole e grandi realtà del mondo - e in specie del suo Sud - in cui uomini e donne normali, che vivono le condizioni economiche non facili della maggior parte della popolazione del pianeta, non passano il tempo a crogiolarsi nel vittimismo - come spesso fanno proprio i figli delle nazioni più ricche - ma sognano un futuro diverso per le loro società, migliore perché più umano e vicino ai veri poveri, quelli che non hanno davvero nulla.
C’è un detto, a Sant’Egidio, che riassume bene tale spirito: “Non c’è nessuno così povero da non poter aiutare qualcun altro più povero di lui”.
E’, questa, una contestazione radicale della mentalità corrente. Nonché di certe proposte religiose o parareligiose ispirate al cosiddetto “Vangelo della prosperità”, secondo la felice definizione di Philip Jenkins. C’è una forza di trasformazione che, anche nel Sud del mondo, sgorga da quel che si potrebbe chiamare “Vangelo del servizio”, da un orizzonte d’impegno che significa dignità e riscatto, per sé e per gli altri.
Il Vangelo del servizio rimette tutto in movimento. In quelli che sono i luoghi della fragilità e della sfiducia fa scommettere sull’accompagnamento e sull’incoraggiamento. In scenari a volte disumani e violenti fa crescere la riconciliazione e la misericordia. Attraverso il loro coinvolgimento le comunità africane, latinoamericane, asiatiche, sanano, o almeno leniscono, alcune delle ferite del continente; edificano una realtà nuova, che sfida la durezza della vita; si fanno araldi di un futuro più aperto e più umano.
Certo, si potrebbe dire che tutto ciò - parole, gesti, vicinanza, aiuto - non è altro che una goccia nel mare. Ma anche che si tratta della prima luce dell’alba.
Guardiamo, allora, a un lavoro che esprime la convinzione che tutto può cambiare. Scopriamo la trasfigurazione di contesti di emarginazione e di dolore in spazi di condivisione e di speranza: gli sforzi di pace nella Repubblica Centrafricana, la lotta contro i tumori femminili in un centro di salute in Malawi, la preghiera per la riconciliazione nelle Filippine, la vicinanza ai lebbrosi in Mozambico, le testimonianze di solidarietà a Panama, l’educazione alla pace dei bambini del Salvador, la casa aperta per i senzatetto nelle fredde notti di Praga, e così via, solo per citare le prime cose che saltano agli occhi scorrendo la lista delle news su www.santegidio.org.
Potremo vedere in tutto questo la figura di una più larga e generale, e possibile, metamorfosi, di un’umanizzazione destinata in prospettiva - così si spera; e forse non sperare non è solo sbagliato, è anche un peccato - a toccare tutto il globo.
Francesco De Palma
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