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Povertà e solitudine, malattie del nostro tempo

Molte volte Papa Francesco ha richiamato la nostra attenzione sulla solitudine, soprattutto quella dell’anziano. Anche il presidente Mattarella nel discorso della fine dell’anno 2018 ha ricordato la solitudine di un’anziana, citata come esempio di una condizione pervasiva. Meritoriamente il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire periodicamente ci informa sulla pervasività di quella che è divenuta a tutti gli effetti una grande nemica e patologia del nostro tempo e che, secondo quanto rileva l’Istat, nel 2018 riguarda 13% della popolazione. Ci sono delle distinzioni relative all’età: al di sotto dei 25 anni vive solo l’1% degli italiani, tra i 25 e i 34 anni vive solo l’11%, tra i 35 e i 54 anni la percentuale resta intorno al 12%, tra i 55 e i 74 vive solo il 16% della popolazione, mentre nelle età successive la percentuale si raddoppia (attorno al 38%). Sempre l’Istat mette in luce come tra gli ultra settantacinquenni vi è un’alta percentuale di individui che non hanno né parenti né amici in caso di bisogno: sono quasi il 40%, con circa il 12% che può rivolgersi solo a un vicina di casa.


In Italia da tempo la solitudine richiama l’attenzione di diverse associazioni e di amministratori pubblici. Grazie alle sensibilità di quest’ultimi, in alcune città italiane è stato possibile approntare da diversi anni la campagna sociale della Comunità di Sant’Egidio “Sole sì, soli no”. Il programma, principalmente rivolto alla popolazione ultraottantenne, ha come obiettivo quello di aiutare gli anziani a restare a casa propria e di tutelare la fragilità di questa fascia di popolazione, contrastando gli effetti della solitudine e della debolezza, con una solidarietà quotidiana che va dal buon vicinato alle reti di quartiere. L’esperienza di questi anni ha confermato la bontà dell’iniziativa: là dove il programma è stato implementato sono drasticamente ridotte sia la mortalità degli anziani, che la percentuale dei ricorsi all’istituzionalizzazione.
Suscitò un certo stupore la decisione del governo inglese Theresa May di istituire un ministero per la solitudine dopo l’emersione di numeri preoccupanti: più di un settancinquenne su tre ha dichiarato “fuori controllo” il proprio sentirsi solo. In Giappone è stato creato il termine “kodokushi” per indicare la morte silenziosa di persone invisibili. Circa 18 milioni di persone vivono sole, il doppio rispetto a 30 anni fa. Nel 2017 45.000 persone sono morte da sole, senza alcun supporto e senza esequie funebri.
La solitudine scaturisce da diversi fattori. Non solo da un clima culturale che invita tanti ad illudersi di costruire il proprio futuro senza gli altri, senza ricevere, ma anche senza chiedere. Un tempo spesso incapace di guardare al domani se non con paura. La crisi della città e dei suoi luoghi di aggregazione, insieme a quella della famiglia, ha determinato un effetto drammatico sulle persone più deboli, abituate nel passato recente a fare del proprio quartiere il regno della sua vita. Aggiungiamo sempre meno negozi aperti, sempre meno gente per la strada, sempre meno centri di incontro, come sono stati per tantissimo tempo bar, osterie, luoghi vicini alle chiese. Una realtà sociale rivelatrice dell’assenza di comunità, direbbe Andrea Riccardi. L’allungamento della vita realizza un sogno antico dell’umanità: frutto del miglioramento delle condizioni di vita. Il dramma – spiega Riccardi  - “è però la solitudine degli anziani, perché non solo – con gli anni- si rarefà il tessuto sociale e familiare, ma perché, per continuare a vivere nel proprio ambiente o casa propria, si ha necessità vitale di prossimo. E’ difficile, impossibile, vivere soli da vecchi: dice il proverbio “anche la regina ha bisogno della vicina”. Insisto sulla condizione di vita degli anziani perché, per me, si tratta un elemento rivelatore della qualità di una società o di una civiltà. Mostra un processo contraddittorio: la conquista della longevità è un sogno realizzato, ma anche una fragilità. E’ questione delle pensioni che non rappresentano un problema solo europeo ma globale: in molti paesi africani, latino americani o asiatici semplicemente non esistono”. L’anziano è rivelatore del bisogno umano profondo di comunità o di rete umana. Del resto i poveri sono in genere gente sola. Povertà e solitudine si accompagnano. Mentre la solitudine, in genere, rende povero o più povero chi non lo è. Luigi Zoja, ha sviluppato un’analisi significativa su tali temi, quelli dei legami, in un piccolo libro, La morte del prossimo. Il prossimo si è tremendamente allargato come numero per molti di noi con l’ampliamento degli orizzonti globali – egli dice -, ma allo stesso tempo si sono indebolite le relazioni stabili e le sue figure si sono sfumate. La morte del prossimo è anche la fine dei contorni comunitari, certo sempre cangianti, che hanno accompagnato l’esistenza, facendo da sfondo, costituendo sovente una rete. Ma oggi si sono dissolte le reti tradizionali e rurali con l’inurbamento, ma soprattutto quelle frutto del volontarismo politico, sociale e religioso si sono smorzate.
In questo quadro assume rilevanza aiutare gli anziani a rimanere a casa propria e sostenerli nel trovare soluzioni che consentano di trovare una “casa” quando questa, per tanti motivi, non è più disponibile. E’ l’impegno prezioso svolto dalla Comunità di Sant’Egidio, sin dagli inizi della sua amicizia con gli anziani, insieme a tanti per prevenire l’istituzionalizzazione. Come l’impegno a rafforzare opportunità di Co-Housing che favorisce l’incontro della domanda degli anziani di non essere lasciati soli. Gli over 65 nel nostro paese rappresentano circa il 22% della popolazione e aumenta anche progressivamente il numero delle famiglie monoparentali. In Italia circa la metà degli anziani con più di 85 anni vive solo e con non poche difficoltà. Si deve inoltre considerare che le pensioni sono basse e non sempre consentono di affrontare le spese crescenti per cure mediche ed assistenza. Però molti anziani sono proprietari di immobili. Co-Housing vuol dire anche mettere insieme le proprie forze e le proprie risorse per vivere meglio. A Sant’Egidio hanno sperimentato che è possibile, con molte esperienze felici di convivenza tra anziani. Convivere non è sempre semplice, ma libera dalla preoccupazione di doversela cavare da soli. Insieme è banalmente più facile trovare delle soluzioni ai problemi. Il Co-Huosing rappresenta oggi una strada percorribile, non costosa per aiutare gli anziani a vivere meglio, riuscendo – mettendo in comune le proprie risorse economiche - anche ad assumere una badante.
Si dice spesso che la ricchezza degli anziani sono le case, a volte case grandi in cui si abita da soli. Co-Housing vuol dire anche mettere insieme le proprie forze e le proprie risorse per vivere meglio. Noi abbiamo sperimentato che è possibile. Abbiamo molte esperienze felici di convivenza tra anziani. Anche perché convivere libera dalla preoccupazione di doversela cavare da soli. Insieme è banalmente più facile trovare delle soluzioni ai problemi. Il Co-Huosing rappresenta oggi una strada percorribile, non costosa per aiutare gli anziani a vivere meglio. Mettendo insieme le proprie risorse economiche ovviamente è possibile anche assumere una badante. Certo nel convivere si possono incontrare delle piccole difficoltà, problemi banali legati soprattutto al cambiamento delle proprie abitudini. Ma in realtà la cosa difficile non è vivere insieme ma vivere soli.
La filosofia è che convivere rappresenta sempre una protezione, mentre vivere soli espone ad alcuni rischi (vedi le cadute, gli incidenti domestici, etc.). Ma soprattutto nelle convivenze c’è il valore impagabile della compagnia.

Antonio Salvati

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