L’inverno demografico che non si affronta
Ancora una volta i dati
Istat pubblicati la settimana scorsa ci forniscono un quadro decisamente
drammatico della grave crisi demografica del nostro Paese.
Con l’attuale trend negativo
nel saldo tra nascite e morti – insieme alla fuga di giovani istruiti verso
altri lidi europei - nel 2050 l’Italia avrà circa 6 milioni di persone in
meno in età da lavoro.
Significativamente il
presidente dell’istituto di statistica Giancarlo Blangiardo ha evocato
il crollo della popolazione registrato negli anni 1917-1918, quelli segnati
dalla Grande Guerra oltre che dagli effetti dell’epidemia di Spagnola.
Il futuro in Europa
Tuttavia, la recessione
demografica che colpisce l’Italia non è un fenomeno limitato ai nostri confini
nazionali. In realtà, l'Europa è unita dalle culle vuote. Pur essendo i tassi
di fecondità molto diversi tra Paese e Paese, dal 2008 il crollo delle nascite
è diventata una tendenza che riguarda tutte le età e tutti i livelli di
reddito.
La Francia è passata da
tassi superiori ai 2 figli per donna a 1,87 nel 2018, la Svezia è scesa a 1,75
(era a 1,91 nel 2008), la Gran Bretagna è arrivata al record negativo da 10
anni a 1,76, la Spagna è crollata a 1,25 figli (da 1,44 nel 2008. Con circa 1,3
figli per donna, da noi ogni anno il saldo tra nascite e morti è fortemente
negativo, e alla lunga – avverte l’economista Becchetti - insostenibile.
Il nostro basso tasso di
fecondità ha ormai compromesso le possibilità di compensare con nuove nascite
l’emorragia della popolazione.
Paesi a confronto, un
esercito di anziani
I dati di un recente
rapporto della Fondazione Leone Moressa ci segnalano che l’Italia avrà
il 17% in meno di popolazione tra 32 anni, e oltre il 35% dei cittadini con più
di 65 anni.
Altre previsioni che
riguardano invece l’Europa indicano che entro il 2060 le persone tra i
15-64 anni caleranno dal 67% attuale al 56%, gli "anziani" saliranno
invece dal 18 al 30%.
Da 4 persone in età attiva per
ogni over 65 si passerà a sole 2. Si presume che il vecchio continente
conoscerà un calo di popolazione dal 2035. Probabilmente un gruppo di Paesi
continuerà ad avere un saldo naturale positivo della popolazione, come Francia,
Gran Bretagna, Svezia, Irlanda, Danimarca.
Altri registreranno un
deciso calo demografico: Portogallo, Spagna, Grecia, Ungheria, Romania,
Bulgaria, Polonia.
Per l’Italia e la
Germania le prospettive molto negative nel bilancio nati-morti sono decisamente
negative e la possibilità di tenuta dei livelli resta appesa alla capacità di
continuare ad attrarre popolazione giovane.
Cambio di mentalità, se la
famiglia è un lusso
E’ noto che l’inverno
demografico ha origine attorno agli anni 90 e si è rafforzato dopo il
2008 che è stato un anno segnato da una crisi finanziaria di grosse dimensioni.
In realtà, abbiamo avuto un
forte cambiamento di mentalità delle nuove generazioni, grazie al venire meno
di molte certezze su lavoro, abitazione, prospettive e soprattutto sulla
possibilità di migliorare la propria situazione rispetto alla generazione
precedente.
Come erroneamente qualcuno
sostiene non è venuta meno una mancanza di desiderio di famiglia,
ma di condizioni da soddisfare in un contesto di politiche pubbliche che tende
a premiare comportamenti individualistici e a scoraggiare la formazione di una
famiglia.
L’Europa ha un bisogno
disperato di più bambini e di più persone al lavoro. Ha l’urgenza di
trovare nuove risorse per spendere e investire a favore dell’incremento delle
nascite. Il guaio è che occorre mettere in pista scelte politicamente poco
allettanti.
Infatti, la classe politica
nel suo complesso sembra più attratta da approcci troppo schiacciati sul
presente ed è decisamente interessata - proprio in virtù della tendenza
demografica declinante - a favorire la parte elettoralmente più rilevante della
popolazione.
Senza comprendere
minimamente che la tentazione della rendita è di per sé un indicatore evidente
di declino e sconfitta. Infatti, la recessione demografica produce anche
recessione economica, problemi sul debito e sulla sostenibilità dei
servizi, maggiori difficoltà di spesa per sostenere le aree depresse. Un
vero e proprio circolo vizioso.
Migrazioni. Un approccio
lungimirante
I Paesi lungimiranti saranno
quelli in grado di garantire due tipi di condizioni:
uno sviluppo
così elevato in termini di qualità della vita, del lavoro, delle retribuzioni,
degli incentivi, della sicurezza e della sostenibilità futura, in grado di
sostenere il desiderio di figli e famiglia;
la capacità di
offrire alle persone che emigrano lavoro, integrazione, educazione e un
ambiente favorevole e dignitoso.
È evidente che siamo di
fronte ad una importante sfida culturale. Potremmo dire epocale. Detto
in altri termini, occorre meno individualismo e una grande capacità di
interpretare e realizzare la solidarietà tra le generazioni e tra i popoli.
Avverte giustamente Becchetti
– da anni impegnato su questi temi – che da sempre, nella storia dell’umanità, «la
scelta della generatività familiare è stata sorretta dalla consapevolezza di
quanto questa sia importante per dare senso all’esistenza. Tale scelta risponde
a una domanda di senso profondo dell’animo umano, quella di trasmettere il
testimone della staffetta della vita sul pianeta alla propria discendenza».
Il contributo dei figli
Studi recenti ci indicano
che ai nostri giorni la soddisfazione di vita aumenta in modo significativo
nell'attesa di un figlio, ma crolla subito dopo la nascita, per tornare ai
livelli iniziali dopo qualche anno.
La ragione del crollo – ci
ricorda Becchetti - è dettata soprattutto dallo stress nell'armonizzare tempi
di lavoro e famiglia, più marcatamente per le donne. «Il
bilancio migliora molto, ma solo col passare del tempo. Se il contributo dei
figli al senso della vita è sempre positivo e significativo anche nei primi
anni di età, quello alla soddisfazione di vita aumenta quando i genitori sono
avanti negli anni e il peso della cura si è ridotto rispetto agli anni della
formazione, se i figli non vivono troppo lontano e diventa ancor più importante
quando subentrano patologie importanti e i figli non si dimenticano dei
genitori».
Un patto per la famiglia
Per questo è necessario un
patto multipartisan che saggiamente accantoni la competizione politica,
evitando di distruggere a ogni cambio di maggioranza quanto fatto da quella
precedente.
In un mondo difficile
come quello di oggi i giovani hanno bisogno di orizzonti stabili e di non
aggiungere l’incertezza delle politiche familiari alle tante che già
caratterizzano il loro e il nostro vivere.
Per questo motivo tutte
le forze politiche che sono concordi nel riconoscere il problema dovrebbero
convergere su proposte che in altri paesi hanno già iniziato a manifestare i
loro effetti.
Occorre introdurre un
beneficio universale per il figlio, ovvero un contributo economico che scatta
quando nasce il figlio e lo accompagna per alcuni anni. Una sorta di voucher
per i servizi alla famiglia e alla persona con
sgravi fiscali significativi simili a quelli adottati per le
ristrutturazioni edilizie in Italia, favorendo così non solo la natalità ma
anche l’emersione di attività economica con benefici per la creazione di posti
di lavoro e proventi fiscali per lo Stato.
Antonio Salvati
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