La preghiera consola e disarma
Gli antichi dicevano che pregare è respirare. L'anima che non prega
avvizzisce e muore.
Ha detto Papa Francesco: «Pregare è lasciarsi meravigliare da
Dio, e non ripetere a pappagallo!». Per Vincenzo Paglia la preghiera
è «anzitutto ascolto, ascolto del Signore che non cessa di parlarci». La
preghiera non è «moltiplicare le nostre parole per rivolgerci al Signore», ma un
atteggiamento di «ascolto delle parole che Gesù stesso ci rivolge».
Recentemente sono usciti due volumi sulla preghiera.
Il primo, Un monaco in ostaggio. L’appello alla pace di un
monaco ostaggio dei jihadisti, narra la vicenda del monaco siriano Mourad
e del suo sequestro che nel 2015 per cinque mesi lo ha visto prigioniero dei
jihadisti dell’Isis.
In prigione, in mezzo all’angoscia – racconta Andrea Riccardi nella
presentazione – padre Mourad, che aveva appreso la sua esperienza monastica a
fianco di padre Dall’Oglio, ha fatto esperienza della forza della
preghiera. E’ la forza della preghiera che cambia il mondo e tante volte appare
incomprensibile.
La vera minaccia: l’incredulità
Dice Mourad: «Come potrà Dio non essere sensibile a quei milioni di uomini e donne che,
nel mondo intero, si fermano cinque volte al giorno a pregare?», ricordando che anche
l’invocazione dei musulmani tocca Dio. Proprio la preghiera aiuterà Mourad a
meglio comprendere le umanità aggressive e omicide di chi lo deteneva,
coloro «hanno bisogno del nostro amore. Solo l’amore avrà la meglio sul male».
Mourad spiega che in prigione, nell’angoscia e nella disperazione, ha
compreso meglio che «senza la preghiera, senza la vita che sia vissuta in Dio, siamo incapaci di
farcela, da soli crolliamo. Ma niente è impossibile a Dio: lui solo, attraverso
le nostre povertà e le nostre stanchezze, può fare grandi cose! … È grazie alla
preghiera, mia e di tutti quelli che hanno pregato per me, che sono stato
salvato».
Bisogna ritrovare la fede, «la vera minaccia è l’incredulità, non le
altre religioni». Nella nostra incredulità, talvolta, quando preghiamo non avvertiamo un
sommovimento interiore. Dio non è nell’uragano – ricorda Mourad – né nel
terremoto, né nel fuoco, ma nel mormorio di un vento leggero (1Re 19,11 – 13).
La sua azione non fa rumore e «tuttavia Lui passa, agisce, volge il nostro cuore
verso gli altri, verso lo sconosciuto, verso lo straniero o anche il nemico».
L’altro libro è La notte del Getsemani, l’ultima fatica di
Massimo Recalcati.
In questo passo dei Vangeli, secondo lo psicoanalista, Gesù appare nella sua più
radicale umanità, sperimentando l’esperienza umana dell’abbandono e la presenza
sempre più incombente della fine.
Infatti, la notte del Getsemani si apre con l’annuncio di Gesù ai suoi
discepoli della sua passione e della sua morte. Ma anche del tradimento dei
suoi discepoli e, in particolare, di Pietro e Giuda.
Giuda e Pietro, due tradimenti diversi
Prima di analizzare le due diverse preghiere che Gesù rivolge a Dio sul
Monte degli Ulivi, Recalcati si è concentrato sul tema del tradimento,
definendolo come un concetto totalmente diverso dall’inganno. Per
l’autore, «ingannare non implica alcun amore, alcuna vicinanza, alcuna
prossimità … colui che ordisce l’inganno non ha alcun vincolo affettivo con chi
inganna».
Nel tradimento c’è prossimità fra il traditore e il tradito. La
radicale esperienza del tradimento non viene mai dallo sconosciuto, ma – come
nel caso di Gesù – da parte di due suoi discepoli, tra i più vicini, tra coloro
che hanno abbracciato senza esitazione il suo messaggio, riponendo piena
fiducia nel loro maestro.
Evidentemente sono due tradimenti diversi.
Mentre Giuda organizza un un complotto, Pietro tradisce per paura,
debolezza, per fragilità umanissima. Il tradimento di Pietro è più doloroso.
Pietro è stato scelto da Gesù come suo erede in terra. Inoltre Pietro piange.
Le lacrime di Pietro insegnano – spiega l’autore – qualcosa di essenziale
sull’amore umano. Si può sbagliare, fallire, tradire, ma il proprio tradimento
non impedisce l’amore, lo fonda, lo rende possibile. In fondo, l’amore
ideale non esiste. L’amore senza mancanza non appartiene alla vita umana. La
propria mancanza può costituire il fondamento di un nuovo amore.
L’angoscia di Gesù
Ma soprattutto la notte del Getsemani è la notte dell’angoscia della morte.
Possiamo immaginare Gesù un uomo tormentato a cui tutto gli appare assai
pesante ed il suo destino insopportabile: l’arresto, il processo, la
crocifissione.
Entrano in gioco le due diverse preghiere che Gesù rivolge a Dio sul
Monte degli Ulivi. Gesù vuole vivere, è attaccato alla vita. E soprattutto il suo amore
per il mondo è troppo grande.
E’ il senso della prima preghiera che assume a tutti gli effetti la forma di
supplica dato che Cristo chiede a Dio esplicitamente di fare un’eccezione,
risparmiandogli la vita. Ha bisogno di non sentirsi solo nella notte. Sente di
non sopportare da solo il peso della morte e chiede ad alcuni discepoli di
stargli vicino.
Il sonno dei discepoli, il silenzio di Dio
Il sonno dei discepoli è un’altra forma di tradimento. Tuo fratello non sa
starti vicino nel momento della tua angoscia. Non sa resistere al suo sonno.
Gesù – come Giobbe – sperimenta il silenzio di Dio: nessuna parola di Dio ad
interrompere la sua angoscia.
Ha detto Bonhoeffer: «Cristo non ci aiuta in forza della sua
onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza».
La seconda, invece, è la preghiera del disarmo, con la quale Gesù
afferma di assumersi tutte le conseguenze per rimanere fedele al proprio
destino. Per Recalcati Gesù esperisce la preghiera come un affidamento al mistero di
Dio, più che alle sue parole.
E’ l’esito di un disarmo assoluto.
Paradossalmente, l’assenza di Dio rende Dio più vicino all’uomo. La
preghiera non come il recupero di forze per sostenere una prova difficile, ma
un atto di disarmo, di consegna, di offerta senza condizioni.
«Non sia fatta la mia, ma la tua volontà».
Antonio Salvati
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