"La teoria di Camila": semplice come un abbraccio ...
E’ una teoria semplice. Niente di che. Eppure quanto mai necessaria, da portarsela dentro, da farci i conti seriamente, da applicarla il più spesso possibile. Perché è una teoria che può farci riprendere il controllo delle cose, può salvarci la vita dal girare attorno a noi stesso. E’ “La teoria di Camila”, secondo la giallista pugliese Gabriella Genisi, passata per una volta a un altro genere.
Grazie a uno spunto tutto reale, a una lettera inviata al Corriere. Parole che hanno colpito l’autrice, che l’hanno fatta riflettere. Tanto da elaborare un’altra lettera, scritta da un padre anziano, malato e con una badante ucraina, al figlio cinquantenne, Marco, il protagonista di questa piccola storia.
Quella di Marco è una vita così: il lavoro, un carico di cose da fare, due matrimoni, due figli, un’amante. E poi un padre dopo l’ictus, una madre in una casa di cura per malati di Alzheimer. In mezzo un senso di vuoto, l’idea che non si sta costruendo poi molto ….
Quand’ecco, un giorno, un sms: suo padre è morto. Il messaggio giunge a Marco da Camila, la badante del padre, la donna che il figlio, una volta, ha trovato abbracciata all’anziano genitore.
La lettera del padre, che Marco trova rovistando fra le carte di una vita, parte anche da quell’episodio, dalla ricerca di un po’ di affetto, di un po’ di calore umano. L’occasione, per un cinquantenne superficiale ed inconcludente, di confrontarsi con la teoria di una donna con tante meno garanzie, ma con una certezza granitica: che un abbraccio vale più di tutto.
E’ bello che questo piccolo romanzo di formazione parta da una consapevolezza nata altrove, nell’incontro un po’ casuale e un po’ forzato con chi forse non vorremmo incontrare, con chi forse non vorremmo fosse qui (anche se con il proprio stare qui sostiene la vita di tanti): “Pensai” - dice Marco - a questo esercito di ragazze dell’Est, alle donne che distrattamente ci ostiniamo a far abitare solo in una canzone e invece affollano le nostre piazze, ci siedono accanto nei tram, curano i nostri vecchi imboccandoli e contando le gocce, si sostituiscono a noi, figli sempre troppo impegnati o stressati per averne cura”.
Chissà, forse il romanzo è la metafora di un’Italia che gira a vuoto perché ha dimenticato qualcosa di fondamentale: ovvero che un abbraccio è meglio di un rifiuto, e che c’è per tutti una seconda possibilità. La scelta di Marco, alla fine del libro, di far tornare a casa la madre ricoverata in istituto, è il segnale che non è mai troppo tardi per invertire il senso di marcia della propria vita, che c’è ancora speranza, per tutti gli uomini e i paesi di questo mondo.
Francesco De Palma
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