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Il fascino discreto del fascismo light


Nel corso del 2018 si è discusso molto della campagna contro gli ebrei e la legislazione contro di essi operata dal regime fascista. Ne abbiamo parlato diffusamente anche in questo blog. Si trattarono – è necessario ricordarlo – di leggi introdotte dal fascismo non per imposizione della Germania. Esse furono iniziativa e prodotto autonomo del regime fascista, connaturate allo stesso retaggio nazionalista, che esaltava la superiorità della stirpe come fatto biologico e non solo culturale; che esaltava – come in più scritti ha descritto lo storico De Felice - l'espansionismo italiano attraverso la concezione tardo-coloniale delle colonie come colonie di popolamento, ossia sede di trasferimento e di nuovo insediamento dell'eccedenza demografica dell'Italia e simbolo di superiorità della civiltà e della razza italiane. In Etiopia, peraltro mai interamente conquistata, fu instaurato un vero e proprio regime di separazione razziale, un vero e proprio prototipo di apartheid, come appurato da tutti gli studi più recenti.
Oggi, soprattutto di fronte a fenomeni tipo “culturale”, da taluni definiti neorazzismo, che si manifestano attraverso la presunta necessità di chiudere i confini, per non contaminare l’incompatibilità degli stili di vita e delle tradizioni di popoli diversi e che si accompagna sovente a teorie “complottiste”, come quella di una calcolata “invasione” dello straniero travestita da fenomeno migratorio,  ha motivo di essere la riapertura in Italia della questione del fascismo?


Appartengo ad una generazione cresciuta con il mito dell’antifascismo, abituata – soprattutto durante il periodo della guerra fredda – a concepire il fascismo in termini di confronto con la democrazia e con la Costituzione. Non a caso si parlava di partiti appartenenti all’arco costituzionale, ossia i partiti che non solo erano stati protagonisti della redazione e dell'approvazione della Costituzione del 1948, ma ne condividevano i valori dell'antifascismo contenuti nella Costituzione stessa. Oggi, non pochi, politici e non, giudicano il fascismo una vicenda irripetibile. Altri, decisamente più preoccupati, ritengono che possano ripetersi le forme assunte storicamente dal fascismo di Mussolini, sottolineando – come ha fatto Umberto Eco, che parlò di «fascismo eterno» - che esso rappresenterebbe una sorta di paradigma politico universale. Pertanto, non necessariamente ripetizione delle vicende o forme storiche già note, ma un riaffacciarsi sotto altre spoglie, «in abiti civili» come direbbe Eco.
Verrebbe da chiedersi se anche la questione della democrazia venga avvertita prioritaria. La gente comune in Italia pensa ancora alla democrazia come un valore politico primario da difendere? Tanti giovani non conoscono le principali vicende del novecento e i ricordi delle distruzioni della Seconda guerra mondiale sono assai lontani. La “paura” del ripetersi di tali esperienze, che tanto faceva presa nei decenni passati, oggi è decisamente meno avvertita. Oggi gli anticorpi nei confronti di nuovi possibili pericoli per la democrazia sono più deboli. La democrazia e lo Stato liberale si poggia su presupposti che non può garantire. La democrazia non è un fatto definitivamente acquisito. Non sono tanto a rischio le procedure formali che regolano la vita sociale, quanto – potremmo dire – la passione, l’amore per la democrazia, intesa come un costume, ovvero come una consuetudine in cui i cittadini si sentono di essere parte di una “casa comune” affidata alla responsabilità di ciascuno.


Umberto Eco avvertiva che il «fascismo eterno» si basa un “populismo qualitativo”, spiegando che «in una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, ma l’insieme dei cittadini è dotato di un impatto politico solo dal punto di vista quantitativo (si seguono le decisioni della maggioranza)». Per il «fascismo eterno» gli individui «in quanto individui non hanno diritti, e il “popolo” è concepito come una qualità, un’entità monolitica che esprime la “volontà comune”. Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale. Per avere un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo più bisogno di Piazza Venezia o dello stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo TV o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la “voce del popolo” ». Ecco, allora, porsi la questione del fascismo, inteso come soluzione d’uscita da una crisi generale. Un’uscita che si ripropone come via breve e semplice, una scorciatoia rispetto alle faticose mediazioni che richiede il processo democratico.
Per questo resta strettamente attuale l’ammonimento di Eco: «Libertà e liberazione sono un compito che non finisce mai».

Antonio Salvati

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