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Cattolici e politica. Un nuovo protagonismo

L’anniversario dell’appello di don Sturzo «a tutti gli uomini liberi e forti» (1919) ha suscitato – com’era giusto e prevedibile - un interessante dibattito, non solo analisi del messaggio nel contesto storico. Alcuni, comprensibilmente, hanno approfittato per ridisegnare il ruolo dei cattolici nell’attuale scenario politico.
Si tratta di un dibattito utile che va inquadrato nell’attuale crisi della democrazia e in un tempo in cui il bisogno di partecipazione si sta realizzando indubbiamente in forme e modi nuovi. Inoltre, è necessario riconoscere che il nostro paese vive una «grave ora». Rosina – sulle pagine del quotidiano Avvenire – ha parlato di un Paese allo sbando con il rischio di perdersi, ricordando, da demografo, i pesanti squilibri demografici quasi fossimo di fronte alle conseguenze di una grande guerra (i ventenni sono oltre un terzo in meno rispetto ai cinquantenni), il livello di guardia del debito pubblico, la mancanza per tanti di un lavoro dignitoso, l’aumento delle diseguaglianze. Malgrado le potenzialità il nostro Paese non riesce a tornare a crescere in modo solido. Tutto ciò genera una forte incertezza verso il futuro e un crescente senso di sfiducia. Una società incattivita e rancorosa, come ci ha descritto il CENSIS e con una conseguente e prevalente offerta politica che si rivolge soprattutto alla «pancia» del Paese, che è continuamente a caccia dell’identificazione di nemici, che vede chi è diverso come ostile, che fonda il consenso sulla chiusura e la divisione.
Per queste ed altre ragioni, in diversi reclamano una maggiore e rinnovata presenza dei cattolici in politica. In realtà, i cattolici sono già presenti nel nostro sistema politico, nei variegati ambiti della vita politica e sociale del Paese, anche nei livelli alti (basti pensare al nostro Presidente della Repubblica). Nessuno, giustamente, ha chiesto di formare un partito dei cattolici, ne tanto meno di riesumare operazioni del passato o individuare un leader carismatico. Serve un modo nuovo di intendere l’impegno politico, per dirla con Papa Francesco che nel 2015 ebbe a dire che «la nazione non è un museo, ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose». E aggiungeva che è inutile cercare soluzioni in «condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative ». In altri termini, è necessario sviluppare un protagonismo diffuso a partire dalle realtà sociali più dinamiche e positive nel territorio del Paese, all’interno delle quali il mondo cattolico è spesso tra le componenti più vitali. Aggiungo che è lo spirito che sta caratterizzando la neonata formazione politica DEMOS, nata per iniziativa di Paolo Ciani, consigliere regionale del Lazio, e Mario Giro, ex vice ministro degli esteri, il cui manifesto parla di un impegno fondato su tre elementi: impegno politico ispirato dal cattolicesimo democratico; un'idea comunitaria e non individualista della democrazia; un modello di autonomie responsabile e solidale, filo conduttore di una Italia unita ma plurale.



In data odierna, Andrea Riccardi, sulle pagine del Corriere della Sera, è tornato sull’esigenza di creare «reti e aggregazioni, che affrontino la solitudine», che sappiano «ridurre le paure e portare a una coscienza più positiva dell’altro. Si tratta della rinascita della città comunitariamente vissuta (e questa ha un ruolo importante nel mondo globale); lo sviluppo del «noi» nei mondi contesi tra rabbia e paura». C’è paura – ha aggiunto - della storia in società che invecchiano, «dove la gente è sola. La città globale è sempre più realtà di molte solitudini, mentre comunità e famiglia si sfrangiano. Luigi Zoja parla di «morte del prossimo», creatrice di solitudine. Prima dell’era globale, anche le periferie erano abitate da legami, partiti, sindacati, comunità… Una galassia di corpi intermedi che legavano alle istituzioni e alla politica. Questo si è dissolto. Restano, in Italia, la rete della Chiesa e la scuola. La diffusa solitudine è una profonda sofferenza che esprime un bisogno d’identificazione in qualcuno, che rappresenti e rassicuri». Così ha concluso: «Bisogna contornare le istituzioni democratiche con società, città, periferie, ambienti popolati da reti. Per questo ci vuole una rinascita di passione civile che spinga molti a mischiarsi alla società, creando e rinnovando corpi sociali, con un investimento generoso e di lungo periodo. Bauman, alla fine della vita, era convinto che bisognava ripopolare la società globale di reti comunitarie. Mi sembra che tematiche simili siano riecheggiate nel messaggio del presidente Mattarella a fine anno sul decisivo passaggio di sentirsi «comunità» e «pensarsi dentro un futuro comune». Se non si lavora sul tessuto umano disastrato della società, sono inevitabili gli smottamenti nel senso della travolgente corrente globale». Sono considerazioni preziose dalle quali ripartire per meglio comprendere il percorso dei cattolici e non nell’attuale teatro politico.

Antonio Salvati

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