La Chiesa, Papa Francesco e le social network communities
Indubbiamente
l’ambiente mediale oggi è decisamente pervasivo tanto da essere ormai
indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano. Papa Bergoglio nel suo
Messaggio per la 53ma Giornata mondiale
delle comunicazioni sociali ha affermato: «Occorre riconoscere che le reti sociali, se per un verso servono a
collegarci di più, a farci ritrovare e aiutare gli uni gli altri, per l’altro
si prestano anche a un uso manipolatorio dei dati personali, finalizzato a
ottenere vantaggi sul piano politico o economico». Non pochi si sono
interrogati sulle opportunità offerte dai social
network communities per un’informazione che contribuisca a creare libertà e
a promuovere responsabilità. Giustamente ha osservato il Pontefice che la social network community non è necessariamente sinonimo di
comunità. Tutt’altro. Spesso siamo in
presenza di aggregati di individui che si riconoscono intorno a interessi o
argomenti caratterizzati da legami deboli. Inoltre, nel social web «troppe
volte l’identità si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro,
dell’estraneo al gruppo: ci si
definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando
spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale,
religioso, e altri)».
Ha osservato acutamente
Marco Tarquinio, direttore di Avvenire,
che il cuore del problema anche nel mondo della comunicazione è ormai quello
della disintermediazione: «riguarda tutti, perché
sempre più persone usano con disinvoltura e con assenza di preoccupazione, in
totale vulnerabilità o con ragionevole avvedutezza, ma anche con calibrata e
aggressiva malizia i canali digitali di comunicazione e di informazione (attività
che si fondono e si confondono sempre più inestricabilmente, con i fruitori di
notizie che contemporaneamente diventano generatori di dati acquisiti e
commerciati…). Voglio dire che la
dimensione comunicativa digitale è una libertà e una vertigine, una opportunità
e una minaccia, una maledizione incombente e una positiva sfida… Ognuno si
sente protagonista, e in una certa misura lo è davvero, perché ognuno –
qualunque potere abbia – è titolare di una “prima pagina” che riempie dei
contenuti che più lo interessano e convincono, e ognuno può rispecchiarsi nel
palinsesto informativo che costruisce come un autoritratto. Io la chiamo informazione-selfie, perché i
lineamenti del viso di chi la assembla si stagliano sempre nell’istantanea di
volta in volta realizzata. Insomma: è una proiezione narcisistica di sé, ma
anche un’affermazione di potenza e un atto di presunto affrancamento – o,
diciamo così, di rinuncia – rispetto alla dipendenza dai comunicatori
professionali, da noi giornalisti “costruttori” di giornali, telegiornali e
radiogiornali».
Sempre il “potere della
comunicazione” ha esercitato un grande fascino sui manipolatori, come ben
descritto nel noto film Quarto potere di Orson Welles.
Internet e le reti sociali, malgrado i non pochi tratti positivi, si
prestano proprio per la loro capillarità e pervasività a un uso distorto, come
quello dell’approssimazione: Infatti, proprio nella rete è diffusa l’attività
di chi trasforma un fatto in qualcosa che diventa degno di essere raccontato,
con tutta l’arbitrarietà e le possibili distorsioni del caso. Un altro rischio
è quello dell’intolleranza che si trasforma in intransigenza verso opinioni o
convinzioni diverse dalle proprie. Da essa scaturisce la violenza verbale,
voluta e cercata oppure “inventata” dalle forzature di chi fa comunicazione, eventi
che non sono mai accaduti. Il linguaggio diviene un’arma pericolosa da lanciare
contro il “nemico”, identificato in chi la pensa diversamente. Da non
tralasciare, infine, la Babele dei linguaggi: senza rigore professionale, senza
valori e regole condivise, l’informazione e l’inganno, lo spettacolo e le
notizie vere diventano la stessa cosa. Del resto, con le nuove tecnologie,
comunicare è divenuto molto più facile per tutti.
E’ cambiata notevolmente il modo di fare informazione,
soprattutto quella politica. Quale giornalista oggi potrebbe ignorare i post, le
dirette, i tweet di un ministro o di un leader politico. I vantaggi sono
tantissimi, come si può immaginare: si riceve una comunicazione “non mediata” e
il messaggio arriva immediato, senza filtri o verifiche. Non occorre verificarne
il contenuto. Il problema che l’informazione vola in Rete, si moltiplica in
pochissimo tempo. E se si veicola una notizia falsa bloccarla - o almeno
contraddirla - diventa impossibile. Per decenni ci siamo ad un mondo in cui –
per restare all’ambito politico – i giornalisti intervistavano i politici, gli
esponenti delle istituzioni. Un mondo in cui chiunque volesse conoscere il
pensiero di qualcuno doveva necessariamente passare da un giornale, una tv, una
rivista. Quel mondo oggi è stato capovolto.
Quante volte abbiamo sentito «L’ho letto su
internet» e magari
chiesto «Letto dove?». Oppure abbiamo sentito «L’ho sentito da
qualche parte, fidati», «me l’ha detto qualcuno».
Qualcuno chi? Oppure peggio: «non mi pare» o «non mi risulta». E il principio di competenza
si va a far benedire.
Chiaramente questa realtà
multiforme e insidiosa pone diverse questioni di carattere etico, sociale,
giuridico, politico, economico, e interpella anche la Chiesa. Non basta
moltiplicare le connessioni perché aumenti anche la comprensione reciproca,
avverte Bergoglio. Il papa suggerisce la metafora
del corpo e delle membra, che San
Paolo usa per parlare della relazione di reciprocità tra le persone,
fondata in un organismo che le unisce. «”Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno
la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri” (Ef
4,25). L’essere membra gli uni degli altri è la motivazione profonda, con la
quale l’Apostolo esorta a deporre la menzogna e a dire la verità: l’obbligo a
custodire la verità nasce dall’esigenza di non smentire la reciproca relazione
di comunione. La verità infatti si rivela nella comunione. La menzogna invece è
rifiuto egoistico di riconoscere la propria appartenenza al corpo; è rifiuto di
donarsi agli altri, perdendo così l’unica via per trovare se stessi».
La metafora del corpo e delle membra – per Papa Francesco - «ci porta a riflettere sulla nostra
identità, che è fondata sulla comunione e sull’alterità. Come cristiani ci
riconosciamo tutti membra dell’unico corpo di cui Cristo è il capo. Questo ci
aiuta a non vedere le persone come potenziali concorrenti, ma a considerare
anche i nemici come persone. Non c’è più bisogno dell’avversario per
auto-definirsi, perché lo sguardo di inclusione che impariamo da Cristo ci fa scoprire l’alterità in modo
nuovo, come parte integrante e condizione della relazione e della
prossimità». C’è una grande questione educativa. Eppure proprio i più
giovani potrebbero darci una mano ad umanizzare e rendere eticamente sostenibile
a questa dimensione della vita umana. Una seria maieutica – pensa Tarquinio – può
e deve aiutare i nostri figli e le nostre figlie a tirar fuori ciò che hanno in
testa e nel cuore per aiutarci a cambiare e a governare il mondo
dell’artificialità e rifarne un ambiente e una serie di utensili nella casa
comune dell’umanità.
Antonio Salvati
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